Dopo Cronache del tempo intermedio (C.u.e.c.m. 1992) Giuseppe Amata ritorna alla narrativa con Conversazioni a Mareblu, imperniato anch’esso sul gioco delle metafore, dell’ironia e del sarcasmo per analizzare le principali contraddizioni e gli avvenimenti della nostra epoca e per descrivere attraverso le vicende del personaggio principale, ma anche di tutti gli altri, le speranze, le illusioni, il disincanto di una generazione che è entrata con irruenza nella storia, la generazione del ’68, ormai rassegnata a lasciare quel ruolo di protagonista perché il suo tempo è volato, ma sempre determinata ad osservare il mondo, a cantare la sua esperienza, insomma a dire ancora la sua parola ed a far sentire il suo ruggito od il suo fado (giudicherà il lettore!). A tal fine, pur indebolita nei suoi rigidi schemi ideologici dagli avvenimenti accaduti tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 del secolo scorso, pur in assenza dell’entusiasmo giovanile che gli fa mancare il vigore e la determinazione in tutto ciò che la vita presenta, compresi gli approcci sentimentali, cerca di resistere nelle sue forti convinzioni cercando il dialogo con le altre generazioni che ad essa seguono, nella difficoltà del rapporto intergenerazionale, per ritrovare la strada maestra per trasformare la società, poggiandosi sull’unico percorso possibile, quello fondato sul pessimismo dell’intelligenza e sull’ottimismo della volontà.