Se è vero, com'è vero, che i conti della modernità non tornano, allora ci sembra necessario "fare i conti" con Pascal. Se è vero, come pur­troppo è vero, che il vascello delle <<magnifiche sorti e progressive>> del moderno mondo occidentale si è pericolosamente incagliato sugli scogli dell'edonismo, dell'individualismo e del relativismo scettico, allora occorre rileggere uno dei grandi padri dell'Europa moderna: quel <<genio sgomentante>>, come lo definì magnificamente Chateau­briand, che si chiamava Blaise Pascal.

Beninteso, abbiamo bisogno di riappropriarci di tutto intero il pen­siero di Pascal, di tutto Pascal. Chi, infatti, oserebbe oggi separare con un taglio netto il superbo polemista dal profondo pensatore? Chi l'acuto scrutatore dell'animo umano dal grandissimo scrittore? Chi il rigoroso moderno scienziato dal sublime testimone del Vange­lo e della Croce?

Noi non propugniamo un nostalgico ritorno a un Pascal mummifica­to. Occorre accostarsi al genio di Clermont-Ferrand con un abito cri­tico per così dire "laico". Intendiamoci, "laico" non già di quella ma­lintesa laicità che si confonde con l'esangue e pallida e impotente neutralità da <<rois faineants», bensì di quell'autentica e vigorosa lai­cità che, gelosa della propria autonomia e lontana da interessi di cor­porazione, e libera da pregiudizi e da dogmi di ogni natura. Pensia­mo, ad esempio, ad una spregiudicata laicità che sappia finalmente risparmiare a Pascal sia quei processi sommari che celebrò Voltaire con lo sberleffo e la stroncatura rabbiosamente scagliati contro il <<sublime misantropo>>, sia quei timidi approcci o quei malcelati so­spetti che certi ambienti cattolici, preferendo stare cautamente al si­curo, riservarono ad un sublime spirito cristiano in odore sulfureo di giansenismo.